"La pittura di Vittorio Polidori colpisce per l'evidente ambiguità dei suoi riferimenti. E' come se attraverso di essa venissimo trasportati in un Museo senza tempo, in cui la storia della pittura ha accumulato, senza ordine né distinzioni cronologiche, Magritte e gli iperrealisti americani, l'accademia derivata da Raffaello e Zurbaran. Questo Museo immaginario compare improvvisamente a stravolgere l'apparente capacità di raffigurare oggettivamente la realtà della superficie dipinta dei quadri di Polidori. Questa superficie nega se stessa e le aspirazioni all'oggettività che le sembrano connesse: quasi che per eccesso di realtà e di storia, realtà e storia scomparissero, o meglio si rivelassero (anche loro) travestimenti dell'inquieta soggettività contemporanea."
"Non a caso m'è venuto nel discorso l'aggettivo recitante. Che Polidori ha applicato, prima alle cose ed ora alla persona, anzi alla donna, anzi alle nude: perché dai primi anni di questo ultimo decennio il personaggio dei personaggi dell'artista romano è il nudo femminile. Si tratta di giovani donne svestite in tutto o in parte e consapevoli della loro nudità. Sono modelle davvero "vestite da nude", tanto conservano la propria personalità e dignità, mentre folgora la loro carne in ogni scopertura, posa, abbandono, mimica, di gesti di sguardi. Si tratta insomma di nude recitanti in uno spazio segreto e riservato, cui darsi in una perenne disponibilità di confidenze: certamente gli atteggiamenti di queste ragazze non rabbrividenti e non condizionate dai pregiudizi sono a immagine e somiglianza di quanto sente l'artista".